“L’essere trattati come un tu permette all’Io di esistere”
L’essere trattati come un Tu permette all’Io di esistere.
Le esperienze vissute dal bambino nei primi anni di vita, ma anche successivamente, determinano la costruzione della sua immagine di sé. È ormai consolidata l’idea che la famiglia e il contesto in cui nasciamo influenzino in maniera determinante il nostro essere, il nostro modo di approcciarci al mondo e alla vita.
Migliore è la qualità delle relazioni che il bambino ha con le figure di attaccamento, migliore sarà la qualità delle sue relazioni future. Il bambino e le persone che si prendono cura di lui sono coinvolti in una relazione che richiede un incessante processo di sintonizzazione e regolazione reciproca dei comportamenti passando attraverso fallimenti, aggiustamenti e consolidamenti.
Nel gesto del prendersi cura da parte del genitore e nel gesto dell’affidarsi da parte del bambino si attiva un processo empatico di coinvolgimento emotivo e affettivo: due esseri si percepiscono, si sentono e si incontrano co-creando una realtà condivisa da persona a persona.
Solo l’essere trattati come un Tu permette all’Io di esistere (Buber, 1923), cioè solo l’essere percepiti, riconosciuti e confermati come persone ci consente di divenire tali.
È fondamentale essere consapevoli che, le modalità con cui ci approcciamo ai bambini sono determinate dalle concezioni acquisite attraverso le nostre esperienze di vita, dalle parole che risuonato nelle nostre orecchie, dagli sguardi in cui ci siamo riflessi, dai flussi emotivi in cui siamo stati immersi. Se siamo stati considerati persone valide, speciali e degne di ascolto allora saremo in grado di instaurare con loro una relazione di reciprocità, altrimenti percepiremo il bambino come qualcosa da utilizzare, riempire, gestire, plasmare e controllare. Più i bambini si sentono persone in relazione a altre persone e più sperimentano vissuti emotivi positivi, più diventano aperti alla vita.
La Gestalt ritiene che gli esseri umani quando vengono al mondo siano dotati di strutture che li mettono in condizione di autoregolarsi spontaneamente, abbiano cioè una naturale propensione a procedere sulla strada della propria realizzazione. L’individuo quindi, partendo dal presupposto dell’autoregolamentazione sana dell’organismo, ha una sua innata capacità di far fronte alla vita.
L’essere umano, però, non è una monade, non ha né le competenze, né l’attitudine a stare da solo, il suo essere nel mondo è stato programmato per avere un lungo periodo di dipendenza dalle cure parentali che, di generazione in generazione, è andato via via allungandosi. Il taglio del cordone ombelicale rischia di perdere la sua naturale propensione di librare i figli nel cielo della vita, diventando un processo emotivo e affettivo lungo e, talvolta, così doloroso dal generare legami morbosi e saturi di aspettative.
L’immersione nel contesto in cui cresciamo, quindi, ci plasma e ci modella. Noi siamo il risultato del nostro patrimonio genetico, del sistema socioculturale in cui viviamo e della nostra famiglia d’origine. Ciò che viviamo nella nostra infanzia, diventa lo sfondo di riferimento da cui attingiamo le dinamiche e gli schemi con cui ci approcciamo agli altri, comportamenti e atteggiamenti che erano funzionali a una buona sopravvivenza in quel contesto, ma che poi possono diventare disfunzionali e distruttivi.
Uno strumento fondamentale per modificare i condizionamenti che ci limitano nel vivere pienamente la vita e nell’esprimere la nostra unicità come persone è acquisire la consapevolezza di quanto è accaduto. Rispetto ai nostri genitori o a chi si è preso cura di noi possiamo scegliere di prendere le distanze fisicamente o emotivamente, ignorare o idealizzare le esperienze vissute, porci al di sopra o perseverare nella rabbia, ma per raggiungere un equilibrio emotivo e vivere nell’autenticità rimane fondamentale guardare alla nostra infanzia, senza pregiudizi morali di alcun genere, prendendo coscienza delle nostre piccole o grandi mancanze di amore. Solo così possiamo essere liberi di creare la nostra storia, solo meravigliosamente nostra.