Ogni volta che usiamo l’espressione il mio corpo, emerge l’enorme condizionamento culturale in cui, per secoli, siamo stati immersi. Con questa definizione identifichiamo il corpo come un oggetto esterno a noi, ne diventiamo osservatori e lo separiamo dalla nostra coscienza. Per migliaia di anni il corpo è stato considerato la tomba dell’anima, una sorta di sarcofago che limitava, con i suoi bisogni terreni e poco nobili, la libera espressione dello spirito tenendolo ancorato a necessità di poco conto.
Il secolo scorso il filosofo francese Merleau-Ponty, con le sue riflessioni, porta, invece, l’attenzione sul corpo e sul carattere relazionale della corporeità. Ci parla del corpo non più come qualcosa di esterno da noi, ma che addirittura coincide con la nostra coscienza. Il corpo che introduce l’io nel mondo, ma che è anche il luogo in cui il mondo entra nell’io. Io non sono di fronte al mio corpo, ma sono nel mio corpo, o meglio, sono il mio corpo.
Il corpo cosciente, nella Gestalt, si evolve ulteriormente diventando unità organismica costituita da corpo, emozioni e mente che funzionano integrandosi l’uno con l’altro. Di fronte a un bisogno non riconosciuto o non ascoltato è l’intero organismo che reagisce e lo fa a tutti i livelli: somatico, emotivo e cognitivo. Il corpo si irrigidisce, l’emozione viene repressa e avviene una comprensione cognitiva di ciò che è accaduto sotto forma di pensieri su sè stessi, gli altri o la vita.
Se durante la crescita determinati aspetti della nostra identità sono stati considerati problematici in relazione all’ambiente di vita, dopo aver affrontato il conflitto tra il bisogno di essere accettati e la difesa del nostro sé, abbiamo, sicuramente, dovuto rinunciare a quelle parti di noi che erano inaccettabili per il contesto. Il bambino, quindi, come conseguenza a situazioni di frustrazioni continue, adotta dei comportamenti che gli permettono di sopravvivere, di adattarsi all’ambiente, ma questo processo di adattamento, che non tiene conto dei bisogni personali, si cronicizzerà e diventerà una sorta di copione di vita. Le cause che determinano la costruzione del copione di vita, con il tempo, diventano inconsapevoli alla mente, ma rimangono scritte nel corpo, nei muscoli, nella postura, nel modo di muoversi, di stare in piedi, di sedersi e nei sintomi.
Le caratteristiche individuali di ciascuna struttura corporea non sono casuali, si sono sviluppate come reazione creativa all’esperienza personale di vita e vanno lette all’interno di quel contesto specifico. Il corpo registra ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto, ogni emozione, ogni azione vissuta e sarà proprio la memoria corporea che ci permetterà di accedere a quelle esperienze di cui non abbiamo più coscienza. Il corpo parla senza sovrastrutture, senza omissioni, senza controlli, lui conosce le nostre verità più intime, è il custode di memorie ancestrali che ci possono far arrivare anche alle sensazioni provate nella nostra vita intrauterina.
Attraverso il lavoro corporeo possiamo comprendere cosa ci racconta il nostro corpo, possiamo fare esperienza delle infinite possibilità che ha di parlarci. Per dare al corpo il tempo di assimilare nuove consapevolezze è fondamentale procedere con gradualità, ascoltando il proprio ritmo interiore sperimentando fin dove si è pronti a sentire. Ognuno, anche nell’ambito del lavoro corporeo, ha la libertà e la responsabilità del proprio percorso evolutivo, condizioni indispensabili per ogni cammino di crescita personale.
Il lavoro corporeo avviene attraverso l’utilizzo di moltissime tecniche che vanno dal portare attenzione al respiro e alla sua pratica, al sentire e identificarsi con una parte dolente o contratta del corpo per lasciar fluire le emozioni, all’osservazione consapevole del corpo mentre la voce narra fino a arrivare a un profondo lavoro di regressione che permette di connettersi a esperienze arcaiche.
Una componente estremamente interessante nel lavoro corporeo è la voce.
La storia di una persona è impressa tanto nel corpo quanto nella voce, i suoi toni e le sue modulazioni sonore definiscono l’unicità di quella persona. La voce non mente, è uno specchio che non inganna, esprime il flusso emotivo nel qui e ora, ma contiene anche il mosaico di emozioni di cui siamo composti. Far risuonare con consapevolezza e senza freni la voce all’esterno di noi può liberare stati emotivi imprigionati o opprimenti, ci permette di osservarci e guardarci dentro e ricomporre una memoria acustica che rivela blocchi e tensioni consolidati.Lavorare con il corpo ci consente, quindi, di far affiorare temi custoditi nell’inconscio, raggiungere la nostra storia fin dal suo concepimento e rimodulare la relazione con il nostro corpo.